blog di un gioco di narrazione degli ivdmer

lunedì 29 ottobre 2007

Ossidiana

"Signor Monaco, devo ammettere che è riuscito ad incuriosirmi. Sarò lieta di dedicarle un po' del mio tempo, se non altro per dare un'occhiata al documento in originale.
Come saprà, i tempi ed i costi legati ad un'indagine di questo tipo sono considerevoli; sarà inoltre necessario confrontare il vostro manoscritto con quello della Biblioteca Vaticana. E anche questo non sarà facile.. ma immagino che le persone che lei rappresenta abbiano i loro canali per accedere a questo genere di risorse.
Quanto al mio onorario, dipende ovviamente dal risultato dell'indagine.. Se le mie ricerche ne dimostreranno l'autenticità, il valore del manoscritto come lei stesso ha sottolineato, sarà esorbitante; una parcella di 30.000 sterline rappresenterà quindi poco più che una mancia da parte vostra.
In caso contrario, oltre alla copertura delle spese mi limiterò a fatturarvi un 20% di tale importo.
Aggiungo un'ultima condizione per accettare questo incarico, stavolta di carattere personale: se intende sancire l'accordo, scelga con cura un oggetto nel negozio, e lo compri. Spiacente, non posso accettare la carta di credito aziendale."

Ossidiana: una pietra che nasce dal fuoco, una parte della lava che si solidifica a contatto con l'aria, ed è, probabilmente, l'amuleto per eccellenza oltre che il materiale con il quale venivano costruiti utensili. Allontana la sfortuna. Come tutte le pietre nere è legata al primo Chakra.

La forza del pregiudizio

Che il carcere non fosse un bel posto è cosa nota, ma la realtà che descrive Fogliani non è certamente compatibile con un luogo di correzione.
Certo, questa città ha già avuto a che fare con le sette, le società segrete e tutto ciò che orbita intorno a quel torbido mondo, ma tutti credevano che dopo il polverone e gli arresti di sei anni fa le cose fossero tornate normali…
"NO CAZZO, NO! Questa non te la devi bere Fasn, sicuramente ci sono altre risposte alle tue domande, risposte che di certo contemplano sofferenza ed orrore, ma nelle modalità di cui sono capaci gli uomini."
Fisso Fogliani dritto negli occhi e continuo ad assorbire come una spugna ogni parola del racconto; ascolto la sua voce carica di inquietudine descrivere eventi e situazioni estranee ad una logica normale, e col procedere del resoconto mi trovo al centro di un crescendo di ansia, rabbia, orrore…
L'impatto emotivo è fortissimo, e non faccio nemmeno in tempo ad accorgermi che la mia corazza di scetticismo non ha retto che già il mio interlocutore è in piedi, e si dirige a passo svelto verso i secondini che lo attendono.
Lo stesso uomo dalle spalle calanti, quasi gettato di peso nella sala colloqui ora procede con la schiena dritta e sorride come se si fosse ripreso tutta la vita in un momento.
Tutti lo fissano con lo sguardo di chi ha di fronte qualcosa di bizzarro: un uomo che ora si dirige verso la prigionia con l'andatura sicura e tranquilla di chi imbocca il vialetto di casa.
Forse è solo suggestione, ma anche io credo di essere un po' diverso, e comincio a sentire addosso un'inquietudine eccessiva.
Guardandomi intorno mi sembra di percepire l'ostilità che permea il mondo che mi circonda, e solo quando il suono metallico di una sirena invita tutti a liberare la sala approfitto della distrazione per pensare ad altro; non c'è più nulla per me qui ed ho ancora troppe
risposte da trovare.
"Bentornato nel mondo reale Fasn, e per l'amor del cielo non provare mai più ad improvvisarti psicologo.
Stavolta sei stato terribilmente fortunato: qualsiasi cosa lo abbia indotto a parlare non ha nulla a che fare con quello che hai detto e fatto, fosse per te saresti uscito di qui con un pugno di mosche in mano." Stavolta però la fortuna fa male, ed è carica di interrogativi. Sono una persona razionale ed un serio professionista, per cui non posso credere che ciò che ho sentito corrisponde a verità; eppure una parte di me ne è fermamente convinta, direi quasi SICURA…
Il carcere è ormai lontano ed io sono quasi sotto casa, è mezzogiorno e mi attente un pranzo intimo con l'ansia: io digiuno e lei mi divora.

Troppo dolore... ma è solo l'inizio.

Elena non sopportava più la situazione; troppo dolore. Si sentiva sola, sconfitta, senza considerare quanto aveva rigettato, urlato e pianto. Occhi e gola, gonfi, bruciavano come fossero arsi. Lo stomaco poi era talmente contratto che le impediva di stare del tutto eretta con la schiena, costringendola a curvarsi per non soffrire. La percezione di ciò che aveva attorno era lontana, ovattata, complice il silenzio di tomba che isolava quel luogo dal resto del mondo. Era buio, eppure la ragazza non aveva la forza di pensare a quando mai in condizioni normali avrebbe fatto qualcosa per trovarsi lì. Infatti non l'aveva cercata; le era piombata inesorabilmente addosso, e lei, impotente, era stata costretta a guardare quel massacro senza poter fare altro che aggrapparsi alla razionalità.
Arivata alla frutta, non ce la faceva più. Ebbe a malapena la forza di rialsarzi da terra e poggiarsi alla sua macchina quando sentì quattro voci avvicinarsi e riempire l'aria di fragorose risate. Non fece caso a ciò che dicevano; non importava, contava solo che erano lì. Alzò a fatica lo sguardo verso quelle quattro voci: un coro angelico. Si trattava forse della salvezza che cercava, ma anche la certezza che ciò che stava accadendo era la malaugurata realtà. Di conseguenza nessuna spiegazione al perché era finità li seguendo un anonimo foglietto. Anonimo un cazzo; l'aveva scritto lei. E la Zingara? C'era, c'era. Elena lo speva. Forse stava giusto guardando la scena.

Approposito... i ragazzi? Non sentiva più le loro voci. Erano passati pochi secondi da quando si era estraneata per trovare una risposta, e non c'erano più. Cercò le figure e le trovò esattamente davanti a lei. Quando il primo parlò dedusse che si trattava di ragazzi; almeno uno lo era, e probabilmente anche molto giovani. Non gli avrebbe dato più di 18-19 anni, anche se li portavano decisamente bene vista la stazza, chi più chi meno, uno molto meno, da trentenni. Udiva le loro voci in modo contorto, ma non le ci voleva un udito perfetto per capire cosa stessero dicendo. Erano abbastanza caratteristici: magliette nere aderenti, jeans aderenti, anfibi e teste rasate. A quell'età era normale. Avevano bisogno di un'identità, di una guida, di sentirsi parte di un gruppo, e quelli avevano scelto la politica per fare branco distinguendosi dalla massa. Forse neppure capivano il vero senso di ciò che stavano facendo. E se lei aveva ragione, non erano in grado d'intendere e di volere. In ogni caso, era nei guai.

Il primo si avvicinò pericolosamente a lei poggiando la mano sullo sportello della macchina per bloccarla.
Parlava, parlava... Elena non capiva; non voleva capire. Si sentiva solo stanca. Però doveva fare qualcosa. Allora chiuse gli occhi, dimenticò la sofferenza cercando di focalizzare le energie rimaste al momento presente e non pensò alle conseguenze dei suoi gesti.
Sentì il ragazzo chiederle: "Hei, Ti va di divertirti un pò con noi?"

lunedì 22 ottobre 2007

All'ombra del Sole Nero...

Altrove, in un luogo buio ed umido, degli uomini dalla carnagione scura si incontrano al lume di una candela e al cospetto di un sarcofago di pietra nera, ben sigillato.
"Il primo è stato infranto... questo è il segno che aspettavamo! Lui si risveglierà di nuovo!"
"Egli è perduto?"
"No... non credo: il libro resiste da anni..."
"E quegli uomini? Sono sulle nostre tracce, potrebbero..."
"Credi che dei semplici uomini ci possano preoccupare? Abbia ben altro di cui preoccuparci!"
"Ma sembrano determinati e se continuano così"
"Se continuano così... penseremo anche a loro!"
[...]
Altrove, in una biblioteca grande e luminosa, piena di libri e di antichi volumi a molti occhi preclusi, un uomo è immobile, seduto su una morbida poltrona di pelle scura e con un grosso volume bene rilegato, con intarsi in oro e argento aperto su un leggio di fronte a lui. Qualcuno appare improvvisamente alla sue spalle, come fosse uscito dalla sua stessa ombra, e l'uomo senza girarsi inizia a parlargli.
"Non credo a quello che è successo... hai una spiegazione?"
"No, signore."
"L'ignoranza non è una risposta, ma solo la causa dei nostri problemi."
"Sì, signore."
L'uomo si gira sulla sedia e con mani giunte davanti al viso osserva la figura ammantata.
"Solo perchè sei una parte di me, non pensare che io non possa punirti: il dolore che sono in grado di infliggerti è troppo anche per te.."
"Sì, signore."
"Ora va e fa quello che deve essere fatto."
E la figura abbandona la stanza, lasciando l'uomo meditabondo nell'immensa biblioteca.

La giustizia dimenticò la pietà...

Cronaca Nera in Pillole - Abitare a Roma Giovedi 18 Ottobre 2007
VILLA GORDIANI - Spedizione punitiva di una baby gang filippina armata con spranghe, mazze chiodate, catene, bastoni, stava minacciando e aggredendo i bengalesi che si trovavano all'interno di un call center di viale Ronchi, ma sono stati sorpresi e bloccati dai vigili urbani. Arrestati otto filippini (5 minorenni).
GRA - Incidente mortale al km 27,200 del Grande Raccordo Anulare, dalle 13 è stata chiusa al traffico la carreggiata esterna tra gli svincoli Centrale del Latte e Nomentana. Coinvolti un motoveicolo e un auto.
OSTIA - Cocaina all'interno dell'ospedale Grassi. Custodia cautelare per un medico chirurgo ortopedico, un'operatrice socio-sanitaria, una segretaria di uno studio medico ed arrestati due centralinisti e una persona esterna. Lo spaccio avveniva nei pressi del bar dell'ospedale, vicino alla camera mortuaria e dove operavano i fermati.
GIANICOLENSE - Rissa tra due comitive finisce in tragedia. Un ragazzo è stato gravemente ferito al polmone, alla milza e all'avambraccio. Arrestato un 22enne con l'accusa di tentato omicidio aggravato da futili motivi.

Pestato per un orologio, ma non voglio una pistola - Il Giornale Domenica 21 Ottobre 2007
«Uno di loro mi ha preso per il collo e riempito di pugni in faccia. Poi mi ha colpito con qualcosa di duro e metallico sulla testa, penso fosse il calcio di una pistola: un’aggressione violenta che mi ha veramente terrorizzato». Lamberto Sposini adesso è tranquillo, protetto dalle mura della sua casa. Ma il giornalista è convinto che non si libererà presto dal ricordo di questa brutta notte. Come sta? «Dovrei mettere il collare ma non me la sento perché mi fa male. Ho la faccia piena di bozzi ed ecchimosi, due denti che ballano e un trauma cranico: al pronto soccorso del San Giovanni mi hanno dato dieci giorni di prognosi». Com’è andata? «Erano le due di notte. Rientravo in macchina nella mia casa all’Aventino dopo essere stato a cena con un paio di amici. Come sempre ho aperto il cancello che dà accesso al cortile interno. Sono entrato in macchina e ho parcheggiato. Mentre scendevo per andare a richiuderlo mi sono trovato davanti due facce nere come la pece. Erano due uomini robusti, col passamontagna in testa. Hanno detto qualcosa ma non si capiva nulla. Non ho neanche fatto in tempo a scendere dalla macchina che mi sono saltati al collo: ho avuto la sensazione che mi stessero aspettando». Allora che ha fatto? «Loro hanno iniziato a colpirmi duro, parlavano tra loro ma non capivo che volevano. Alla fine mi hanno strappato l’orologio. Per fortuna sono riuscito a rientrare in macchina e mi sono attaccato al clacson. Suonavo e urlavo gridando aiuto». Che lingua parlavano? Gli investigatori seguono la pista romena, come per l’aggressione al regista Giuseppe Tornatore, avvenuta qualche settimana fa nella stessa zona. «Francamente non si capiva che lingua fosse. Avrebbe anche potuto essere un dialetto molto stretto. Non me la sento di fare ipotesi però secondo me le circostanze dell’aggressione a Tornatore erano diverse: non era notte fonda e non avevano il volto coperto».

Filosofia Occulta

In questi tre libri si mostrerà in quale modo i Maghi raccolgano le virtù del triplice mondo. Come v’hanno tre sorta di mondi, l’Elementale, il Celeste e l’intellettuale, e come ogni cosa inferiore è governata dalla sua superiore e ne riceve le influenze, in modo che l’Archetipo stesso e Operatore sovrano ci comunica le virtù della sua onnipotenza a mezzo degli angeli, dei cieli, delle stelle, degli elementi, degli animali, delle piante, dei metalli e delle pietre, cose tutte create per essere da noi usate; così, non senza fondamento, i Magi credono che noi possiamo agevolmente risalire gli stessi gradini, penetrare successivamente in ciascuno di tali mondi e giungere sino al mondo archetipo animatore, causa prima da cui dipendono e procedono tutte le cose, e godere non solo delle virtù possedute dalle cose più nobili, ma conquistarne nuove più efficaci. Perciò essi cercano scoprire le virtù del mondo elementale a mezzo della Medicina e della Filosofia naturale, servendosi dei differenti miscugli delle cose naturali e le connettono poi alle virtù celesti attraverso i raggi e le influenze astrali e mercé le discipline degli Astrologhi e dei Matematici.
Fortificano infine e confermano tutte queste conoscenze con le sante cerimonie della Religione e con la potenza delle intelligenze superiori. In questi miei tre libri io mi sforzerò di comunicare l’ordine ed il procedimento di tutte queste cose. Il primo libro conterrà la Magia Naturale, il secondo la Celeste e il terzo la Cerimoniale. Non so però se si potrà perdonare ad un uomo come me, di ingegno e capacità letterarie non eccelsi, d’aver osato affrontare sin dalla mia adolescenza un compito così difficile e oscuro. Per conseguenza non pretendo che si presti fede a quanto dirò in misura maggiore di quella che non sia per essere approvata dalla Chiesa e dai suoi fedeli seguaci.
Che cosa sia la Magia, in alquante parti si divida e quali requisiti debba possedere chi la professa. La Magia è una scienza poderosa e misteriosa, che abbraccia la profondissima contemplazione delle cose più segrete, la loro natura, la potenza, la qualità, la sostanza, la virtù e la conoscenza di tutta la natura; e ci insegna in quale modo le cose differiscano e si accordino tra loro, producendo perciò i suoi mirabili effetti, unendo le virtù delle cose con la loro mutua applicazione e congiungendo e disponendo le cose inferiori passive e congruenti con le doti e virtù superiori.
La Magia è la vera scienza, la filosofia più elevata e perfetta, in una parola la perfezione e il compimento di tutte le scienze naturali, perché tutta la filosofia, regolare si divide in Fisica, Matematica e Teologia. La Fisica ci svela. la essenza delle cose terrene, le loro cause, i loro effetti, le loro stagioni, le loro proprietà, ne anatomizza le parti e ricerca quanto posso concorrere a renderle perfette, secondo questi interrogativi: Quali elementi compongono le cose naturali? Quale è l’effetto del calore, Cosa sono la terra e l’aria e cosa producono? Qual’è l’origine dei cieli? Da che dipendono le maree e l’arcobaleno? Chi presta alle nubi il potere di generare i fulmini che fendono l’aria? Qual’è la forza occulta che fa errare pei cieli le comete e fa entrare la terra in convulsione? Donde traggono origine le miniere d’oro e di ferro? La Fisica, che è la scienza speculativa di tutte le cose naturali, risponde a tutte queste domande. La Matematica poi ci fa conoscere le tre dimensioni della natura e ci fa comprendere il movimento e il cammino dei corpi celesti. E, come dice Virgilio, ...perché il Sole governi coi dodici segni il mondo, perché le Pleiadi e le due Orse e tutte le altre stelle percorrano le vie del cielo, perché ci sia dato vedere le eclissi di Sole e di Luna, perché il Sole tramonti presto d’inverno e renda così lunghe le notti. Di più la Matematica ci permette prevedere i cambiamenti del tempo e ci fa conoscere le stagioni più propizie alla semina e al raccolto e quando sia opportuno, correre i mari con le navi o abbattere gli alberi nelle foreste.
La Teologia ci fa comprendere cosa è Dio, la mente, gli angeli, le intelligenze, i demoni, l’anima, il pensiero, la religione, i sacramenti le cerimonie, i templi, le feste e i misteri. Essa tratta della fede, dei miracoli, della virtù delle parole e delle immagini, delle operazioni secrete e dei segni misteriosi e, come dice Apuleio, ci insegna le regole dei cerimoniali e quanto la Religione ci ordina ci permette e ci vieta. La Magia racchiude in se queste tre scienze così feconde di prodigi, le fonde insieme e le traduce in atto. Perciò a ragione gli antichi l’hanno stimata la scienza più sublime e più degna di venerazione. Gli autori più celebri vi si sono applicati e l’hanno posta in luce e tra essi si sono assai distinti Zamolxis e Zoroastro, così da esser poi reputati da molti gl’inventori di questa scienza. Abbaris, Charmondas, Damigeron, Eudosso, Hermippo hanno seguito le loro tracce, nonché altri illustri autori, fra cui citiamo Trismegisto Mercurio. Porfiria, Giamblico, Plotino, Proclo, Dardano, Orfeo di Tracia, il greco Gog, Germa il babilonese, Apollonio di Tiana e Osthane, di cui Democrito Abderita ha commentato e posto in luce le opere che erano sepolte nell’oblio. Di più Pitagora, Empedocle, Democrito, Platone, e altri sommi filosofi, hanno compito lunghi viaggi per apprenderla e una volta di ritorno in patria hanno dimostrato quanto la stimassero e l’hanno tenuta nascosta gelosamente. Si sa anche che Pitagora e Platone invitarono presso loro per apprenderla sacerdoti di Memfi e che visitarono quasi tutta la Siria, l’Egitto, la Giudea e le scuole Caldea per non ignorarne i grandi e misteriosi principi e per possedere una tale scienza divina.
Coloro dunque che vorranno dedicarsi allo studio della Magia, dovranno conoscere a fondo la Fisica, che rivela le proprietà delle cose e le loro virtù occulte; dovranno esser dotti in Matematica, per scrutare gli aspetti e le immagini degli astri, da cui traggono origine le proprietà e le virtù delle cose più elevate; e infine dovranno intendere bene la Teologia che dà la conoscenza delle sostanze immateriali che governano tutte coteste cose. Perché non vi può esser alcuna opera, perfetta di Magia, e neppure di vera Magia, che non racchiuda, tutte e tre queste facoltà.

lunedì 15 ottobre 2007

Ancora al bar

Ancora al bar, come ogni giorno, Marco ha da un po' iniziato le pulizie, con l'intenzione di chiudere per le 20 in punto, dato che oggi non c'è il capo che si intrattiene con alcuni clienti. I tavolini fuori sono già stati impilati l'uno sull'altro e così anche le sedie, mentre gli ombrelloni sono stati chiusi e il piccolo patio in legno pulito per bene. Aveva appena rientrato tutti i posaceneri, dopo averli accuratamente svuotati, quando Marco sente una voce femminile alle sue spalle, che lo fa trasalire sia per la sorpresa quanto per il tono caldo che, pensò subito Marco, doveva appartenere a una donna sicuramente affascinante. E infatti era così: dietro di lui si rivelò esserci una donna affascinante, fredda e seducente allo stesso tempo, con gli occhi penetranti e distaccati, le labbra sottili ma morbide. Vestiva con dei pantaloni grigi classici che le avvolgevano i fianchi quel tanto che bastava per evidenziare il suo corpo snello ma dolce nelle forme, una camicetta bianca leggermente sbottonata che non lasciava intravedere nulla di particolare ma faceva capire come sotto avesse solo un reggiseno, probabilmente di pizzo bianco e un paio di scarpe nere, classiche ma con il tacco molto pronunciato. E poi ancora il viso: era quello di un angelo, incorniciato da morbidi capelli biondi e lucenti.
"Potrei avere un caffè?" chiese lei, probabilmente per la seconda volta, visto che Marco non era ancora riuscito a toglierle gli occhi di dosso...
L'imperativo e' understatement, anonimato ripeto tra me e me, riusciro' prima o poi a farmi una scopata da barista che attende la partita della Roma di domani sera e non da checca intellettuale tormentato e in cerca dei saldi dell'Assoluto. Meglio una scopata mancata (anche se e' veramente un angelo caduto dal cielo stavolta) che un'altra con il sottofondo di Shoenberg e la pantomima finale su l'essere e il nulla o qualcosa sul genere. Guardo l'orologio e le rispondo : "Ho chiuso la macchina del caffe' mezz'ora fa, se ha un po' di pazienza, la riaccendo e lo preparo" Lei sorride: "Mi dispiace disturbarla, se sta chiudendo... Di pazienza ne ho comunque" Non riesco a fissarla, e' di una bellezza che mette a disagio: "Non faccia la finta tonta" le dico simpaticamente "Credo che nessun barista dell'universo la manderebbe via senza caffe' ". Ride di nuovo, una risata spontanea semplice, dolce che contrasta con il suo aspetto. La invito ad entrare, si siede al banco e mi fissa con attenzione mentre sono affaccendato con la macchina dell'espresso. Sento il suo sguardo su di me, cerco di allentare la tensione: "Non mi sembra di Roma dal suo accento, che ci fa da queste parti?" Mi porge la mano: "Mi chiamo Diana, e lei?" "Io sono Marco, Marco Gorgia" "Che cognome singolare mi risponde lei...." Abbasso di nuovo gli occhi, so a cosa si riferisce ma non voglio cedere. Le porgo il caffe' , tento di cambiare discorso, ma quando incrocio di nuovo i suoi occhi le parole mi muoiono in bocca. Lei continua: "Devo stare attenta se non voglio essere travolta dalle sue parole fino a perdere la ragione, non e' vero?" e ride di nuovo bevendo il suo caffe' continuando a fissarmi.

Corro, corro e corro.

Corro, corro e corro. A cosa penso?
Penso al telegiornale, che parla di gente morta in modo stupido: "passeggiava con la sua ragazza, uno sconosciuto si è avvicinato e lo ha accoltellato, non si conoscono le motivazioni dietro il folle
gesto", oppure "rissa fuori da una discoteca, due feriti levi e, purtroppo, un morto". Poi penso ai racconti di Andrea, che ora ha quasi cinquant'anni, e che negli anni settanta faceva il giovane di sinistra che insultava e menava i giovani di destra, e poi finiva che c'erano anche spranghe e qualche pistola e qualcuno moriva e, anche allora, finiva al telegiornale.
Penso a quando tornerò a casa e farò una scena madre a Jango, che mi caccia in guai simili, per cose che sono importanti solo nella sua testa, e mi permetterò una crisi isterica e piangerò a singhiozzi e dirò un sacco di parolacce e poi lui dovrà offrirmi da bere tutta la sera.
Penso a quando questa sera al pub racconteremo questa storia, e ci ubriacheremo e cominceremo a spararle grosse, a esagerare, erano in venti, ci hanno spaventato a morte, se ci pigliavano ci ammazzavano. E poi cominceremo a insultare i fascisti, e le loro madri e le loro sorelle e ci faremo un sacco di risate.
Intanto corro, corro e corro.
E non sono un tipo atletico, e non faccio una vita sana, e le gambe cominciano a intorpidirsi e comincio a sentire qualche fitta all'addome. E mi sento già dire ai ragazzi del pub che, proprio quando pensavo di non farcela, che mi stavo per fermare e rassegnarmi al mio triste destino, siamo arrivati alla macchina.
Vecchio catorcio simbolo di salvezza.
Corro, corro e corro.
Arrivo alla portiera, dal lato del passeggero. E' aperta, un catorcio simile non vale la pena chiuderlo.
Apro la portiera,Jango apre quella dal lato del guidatore. Ci guardiamo, e se non fosse per il fiatone ci sorrideremmo, pregustando la fuga in macchina, le risate al pub, i racconti di questa ennesima avventura. Quelli sono lontani, stanno ancora girando l'angolo, noi dobbiamo solo chiudere le portiere. Poi Jango fa una faccia strana, un mezzo sorriso ancora sulle labbra e lo sguardo preoccupato. "Merda, mi è caduto..." E si gira. Chiude la portiera dietro di lui, non so se inconsciamente o in un nobile gesto di difesa nei miei confronti. Ha lo sguardo rivolto a terra, a cercare quello che ha perso, quando quelli lo raggiungono.
Lui cade quasi subito, e non lo vedo più. Non vedo molto, persone che si accalcano attorno a qualcosa che deve essere il mio amico. Sento un sacco di insulti però, e qualche grido. Oddio, adesso che faccio? Se scendo menano anche me, che cavolo posso fare io se mi metto in mezzo, non credo che siano i tipi che si sentono in colpa a menare a una ragazza.
Oddio. Per un attimo penso pure a passare dalle parte del guidatore e partire, ma non ho le chiavi, le chiavi le ha Jango, e poi che cazzo, non posso lasciarlo qui, questi lo ammazzano.
Oddio, va bene, non vado da nessuna parte, ma che faccio? Prendo il telefono e chiamo i carabinieri? Che, ammesso che arrivino, arriveranno fra un'ora? Magari però li chiamo e poi esco fuori urlando che li ho chiamati e qualli si spaventano e scappano. Magari se esco fuori urlando come una pazza arriva gente, cavolo ci sarà gente in giro, e questi non sono proprio idioti, si spaventeranno e scapperanno. Cerco il telefono nella borsa. Rovescio la borsa. Trovo il telefono. Allungo la mano verso la portiera.
Solo a questo punto mi accorgo che fuori si sono fermati. Non parlano, e stanno lì immobili a fissare il terreno. Ma io sono ancora in macchina e non vedo quello che fissano. Poi capisco che uno di loro stà parlano, non me ne ero accorta perchè non stà gridando come aveva fatto fino a poco prima, ma parla in un sussurro e ripete una strana litania.
"Che cazzo hai fatto, che cazzo hai fatto, che cazzo hai fatto..." Poi sento un'altra delle loro voci, più tranquilla, autoritaria: "Andiamo". E all'improvviso scattano tutti insieme, corrono e scompaiono dietro l'angolo.
Stò in macchina ancora un pò. Non riesco a capire dove può essere andato Jango. Poi mi ricordo di avere la mano sulla portiera. Apro la portiera. Scendo dalla macchina. Giro attorno alla macchina.
Il mio amico è lì, immobile, con la faccia in giù, e tanto tanto sangue. Il sangue stà colando dalla sua testa sull'asfalto, fino a sotto la macchina e fino alla punta delle mie scarpe.
Oddio, oddio, oddio.

la strada per il Tartaro

Elena non aveva dubbi su di chi fosse quella grafia: era proprio la sua. Gli occhi della donna, inevitabilmente dilatati a causa della poca luce, rimanevano fissi su quella carta stampata. E c'erano pochi dubbi su chi avesse preso quell'appunto; era stata proprio lei. Il cuore ancora le batteva all'impazzata. Non sapeva come, dove, quando ne tantomeno perché era accaduto ciò che stava vivendo. Sapeva solo una cosa... che ci si era ritrovata senza alcun nesso logico e di causa tra tutte le cose. Era viva. Il che sembrava già tanto visto quel camion. Ma come diavolo aveva fatto a trovarsi proprio la, in un posto che non aveva mai visitato? Di notte, poi... Posò il volantino accanto alla borsa che non esisteva più e scese dalla macchina. Regnava il buio e c'era nebbia. L'aria fresca della sera sferzava sul suo viso graffiandolo. Sentiva freddo, sopratutto sulle guancie bagnate dalle lagrime che le riempivano gli occhi e le segnavano la pelle rigandola. Cadevano al suolo come pesanti goccie infangando la terra, anche se non usciva un sol suono dalle sue labbra. Aveva l'ansia di stare li fuori da sola in un posto di cui ne sapeva tanto quanto il cartello fuori dalla sua macchina ed a quanto pareva la strada sterrata delineava un km della tiburtina fuori dal mondo e dal controllo di ogni anima pia. Ultimo, ma non ultimo pensiero... non sapeva come ci era finita. Si poggiò allo sportello della macchina e si cinse la vita con entrambe le mani, coprendosi con le braccia. Guardava a terra cercando di respirare con regolarità. Chiuse gli occhi e si disse che se fosse stato un sogno, presto sarebbe finito. Ma quando li riaprì la situazione era talmente identica alla prima da arrecarle maggior sconforto. No, era troppo. Quello, non l'avrebbe sopportato. Quanto stava male? Era lei? Era malata? La Giustizia l'aveva portata a travalicare le soglie della ragione, o c'era altro nella sua mente che Non funzionava? In ogni caso, il sogno sembrava aver intenzione di essere più simile alla realtà di quanto lei stessa avesse sperato. Guardandosi attorno constatò suo malgrado che il buio si stava infittendo e che la nebbia stava salendo tanto da carezzarle le caviglie con pigro languore, costringendola a ritirarsi da lei per non diventare una sua preda. Salì in macchina e rilesse l'indirizzo. Tivoli, strada Tartaro, 7. Era in ballo? Avrebbe ballato. Cercò una cartina, ma trovò un TomTom già montato sul lunotto antoriore della sua macchina che segnalava la strada da fare. Questo era Davvero Troppo. Ora, aveva la certezza che Era Un Sogno. Anche stavolta chiuse gli occhi, ed anche stavolta il suo impegno fallì dato che il navigatore continuava a lampeggiare dicendo quanti km rimanevano alla prima svolta verso cui girare per raggiungere Tivoli. Le gambe della donna non smettevano di a tremare mentre puntava gli occhi fissi verso la strda. Il respiro era pesante, la schiena dritta, pancia dentro, petto in fuori ed i piedi ben piatati a terra sui pedali mentre il suo cuore aveva abbandonato lo sterno per raggiungere la gola e dimorarci in pianta stabile. La paura le attanagliava le viscere, ma, d'altronde.... cos'altro poteva fare? Cancellò ogni pensiero sull'accaduto dalla sua mente e focalizzò ogni centimetro del suo essere sulla strada; e sul TomTom. Ora, aveva una nuova meta: Non morire e raggiungere a Tivoli la Strada Tartaro numero 7. Se esisteva. D'altro canto, se la sua meta non fosse esistita, non avrebbe percorso quella strada e l'indomani mattina forse si sarebbe svegliata. Se, al contrario, esisteva... sarebbe giunta presto o tardi a destinazione.

domenica 14 ottobre 2007

Una storia vomitata

"Senti... io non so se ti può interessare, ma Teragallo era veramente un pazzo: diceva di vedere cose strane, di sentire dei rumori che solo lui poteva sentire... insomma, era completamente andato in testa quello! Non mi meraviglio che si sia suicidato appena fuori di qui... continua a ripetere che lo stavano aspettando fuori e che le voci sarebbero divenute più forti costringendolo..." ma perchè continuare a parlare con questo tizio, pensa Fogliani, tanto che ci guadagno? Però ora che ha iniziato a parlare non riesce più a fermarsi: aveva bisogno di sfogarsi, aveva bisogno di dire quelle cose a qualcuno che poi non avrebbe più rivisto e che quindi non avrebbe potuto ricordargli quanto era pazzo a credere in quelle cose... "Diceva che lo avrebbero costretto a suicidarsi. E così è stato: quello è pazzo totale, te lo assicuro. Ha fatto la fine che meritava, tanto non ci sarebbe riuscito a vivere come una persona normale..." dai che non è tutto Fogliani e lo sai: che senso ha non raccontargli la verità fino in fondo, non dirgli che una notte in cella hai sentito un rumore e che... "Senti... io adesso ti dico una cosa e non voglio commenti da parte tua. Non deve uscire un fiato da quella bocca di merda che ti ritrovi: devi solo ascoltarmi e poi io me ne vado. E tu non mi romperai più i coglioni e non dirai a nessuno quello che ti ho detto, perchè io di qui esco prima o poi e ti trovo, faccia da culo. Hai capito?" il cenno freddo e calmo di Fasn è più che sufficiente e Fogliani prende fiato, inizia a giochicchiare nervosamente con una sigaretta che ha preso da dietro l'orecchio e parla. Racconta tutto. Vomita parole e dettagli come un fiume in piena e man mano che parla gli occhi di Fasn si sgranano, ma la sua bocca non emette un fiato. E le parole formano nell'aria una storia surreale, di immagini spettrali e di strani rituali, di uomini che soffrono solo perchè Teragallo li aveva guardati e di persone che impazziscono mentre tentano di picchiarlo nella doccia. Un storia di sangue e di stregoneria, e mentre la racconta Fogliani si purifica da ogni paura, mentre l'animo di Fasn si carica di sconforto. "E poi tutto è finito quando un uomo è venuto a trovarlo, un tizio alto e magro, dall'accento inglese mi pare... ma non ricordo bene: è avvenuto circa 2 mesi fa." Fogliani si ferma. Non parla più e fissa per qualche infinito secondo gli occhi del giornalista. Poi si alza come aveva promesso e va via. Purificato. Vuoto da ogni paura, che ha lasciato lì al tavolo, nelle braccia di uno sconosciuto. Sorride quando esce dalla sala.

lunedì 8 ottobre 2007

E la giustizia non può vedere ciò che non esiste...

I romeni in cronaca nera - Il Messaggero Lunedì 8 Ottobre 2007
Roma - Questi gli episodi più recenti di cronaca nera che hanno visto coinvolti immigrati romeni.

24 settembre - Arrestati tre romeni che nella zona di Tor Vergata aggredivano coppie per rapinarle, violentavano le donne e massacravano di botte l'uomo.

21 settembre - Ad Ardea un romeno di 23 anni uccide con una lastra di marmo per le lapidi un connazionale di 40 anni.
21 agosto - Un gruppo di tre romeni aggredisce il regista Giuseppe Tornatore mentre tornava a casa e lo rapina del telefonino, dell'I-Pod e del portafogli.

13 agosto - Un romeno di circa 40 anni è ucciso con più di 20 coltellate, nella zona di Casalotti.

23 luglio - Tre romeni uccidono a martellate un loro connazionale, un ragazzo di 23 anni, ne fanno sparire il corpo e poi tentano un'estorsione alla madre.

1 luglio - Sulla A1, nei pressi di Roma, sei romeni muoiono e tre sono feriti in un pullmino che sbanda e si ribalta.

26 aprile - Vanessa Russo, 23 anni, è colpita ad un occhio con la punta di un ombrello e muore il giorno dopo. Il colpo è sferrato da una giovane prostituta romena, che viene fermata tre giorni dopo a Tolentino.



Gli italiani e la cronaca nera - CCSnews Giovedì 4 Ottobre 2007
In ognuno di noi c’è un voyeur, così come in ognuno di noi si nascondono passioni violente, istinti di morte. Sarà semplicistico, sarà banale, ma è un’affermazione suffragata dall’interesse sempre crescente e mai sopito per tutte quelle morti violente, per quelle uccisioni che periodicamente monopolizzano l’attenzione generale e diventano storie sì nere, ma in qualche modo familiari. Negli ultimi anni alcune parole prima del tutto sconosciute sono entrate nel vocabolario comune, quasi quotidiano. Chi ormai non sa cos’è un incidente probatorio, il luminol, il guanto di paraffina, il test del Dna? Chi non tenta con perizia di particolari, anche tecnici o scientifici di ricostruire la scena del delitto e di individuare il responsabile. Dopo il delitto di Cogne e la sua spettacolarizzazione, l’Italia, oltre a essere abitata da 60 milioni di commissari tecnici durante le partite di calcio della Nazionale, sembra essere popolata da 60 milioni di efficientissimi e risoluti Sherlock Holmes. Indagare e tentare di venire a capo dei delitti irrisolti, infatti, sembra essere diventato il nuovo sport nazionale. I delitti efferati degli ultimi anni hanno aumentato questa già innata predisposizione: dal delitto del Circeo, a quello di via Poma, fino ai più recenti e clamorosi come quelli di Novi Ligure, Cogne, Erba e da ultimo Garlasco.
Omicidi a volte irrisolti, nebulosi, dove a essere sotto accusa sono spesso i familiari, o comunque le persone più vicine alla vittima. Il caso di Cogne, come si diceva prima, in qualche modo ha sdoganato definitivamente l’argomento morte, assassinio. Il plot è esemplare: una madre sospettata di aver ucciso il proprio figlio, una Medea dei nostri giorni incapace, però, di ricordare il suo terribile gesto. Ed ecco che a rendere clamorosa e più che pubblica l’intera faccenda non è più il buon vecchio Euripide, ma il rassicurante giornalista Bruno Vespa. Nel suo salotto televisivo sono entrati milioni di italiani: hanno visto la ricostruzione della scena del delitto, hanno sentito la difesa degli avvocati, le dichiarazioni della Franzoni, quelle degli altri familiari, hanno, giorno dopo giorno familiarizzato con il terribile avvenimento e ognuno si è potuto fare una propria idea a riguardo. Da allora molte trasmissioni televisive hanno iniziato a occuparsi con maggiore attenzione e interesse dei delitti e purtroppo molti altri, altrettanto eclatanti, ce ne sono stati.
Certo l’interesse per la morte, quella violenta, non è una novità, anzi è cosa antica, vecchia come il mondo.
La Bibbia stessa narra dell’uccisione di un fratello da parte di un fratello, nel passato, ma anche oggi, le esecuzioni pubbliche avevano un loro pubblico di appassionati, la ghigliottina era un grande spettacolo nella Parigi non troppo lontana di qualche secolo fa, per non parlare di quello che drammaticamente succede ancora oggi nelle zone di guerra e di lotta. La crudeltà, l’attrazione per il macabro e per la morte sembrano davvero essere molto “umane”. Film, libri, dossier, documentari hanno sempre tratto spunto dalla cronaca nera e inevitabilmente hanno raccolto un grande successo di pubblico. Ciò sembrerebbe spiegarsi con il lato nero, oscuro, che alberga in ognuno di noi. Prima di uccidere il protagonista di Delitto e castigo si indigna dei suoi stessi pensieri: “Oh, Dio! Com’è ripugnate tutto ciò! È possibile che io…no, è una sciocchezza, un’assurdità. È possibile che mi sia potuto venire in mente un simile orrore? Di che sudiciume è tuttavia capace il mio cuore!”.



Cronaca Nera in Pillole - Abitare a Roma Domenica 30 settembre

San Giovanni - Il cadavere di un senza fissa dimora, morto da oltre 5 giorni, è stato trovato in un rifugio di fortuna di via della Caffarelletta. Sul corpo evidenti segni di violenze.
Ostia - Un italiano di 45 anni senza fissa dimora, è stato trovato cadavere poco dopo le 7, in uno stand di giochi (dove aveva trovato rifugio) allestito a Ostia per la manifestazione "La pizza: cultura e folklore...tra arte e storia del mare nostrum". Secondo i medici le cause della morte sono da ricondursi ad un malore durante il sonno.

Casal Bertone - Poco dopo le 5 del mattino un 20enne italiano è stato accoltellato all'addome all'esterno della discoteca Qube di viale di Portonaccio 212.

lunedì 1 ottobre 2007

Il Sole Nero sorge

In un ambiente scuro, denso di assenza di luce, quasi surreale: nessun contorno era visibile, neanche a coloro che da ore attendevano la Parola. Nessun movimento poteva essere percepito e forse nessun suono udito, oltre a quello tanto atteso. Dovrebbero esservi quattro persone in quella surreale stanza e ognuno di loro dovrebbe avere qualcosa in mano, preso senza poter guardare, mentre entravano lì dentro: sono persone particolari, indubbiamente potenti e non solo nell'accezione che quasi tutti danno a quel termine, ma in questo momento sono molto tesi, non sembrano affatto i leader di quattro fra le più importanti e antiche società segrete, così segrete che in pochi conoscono la loro esistenza. Sono potenti, ma la Parola lo è più di loro e di questo ne sono ben coscienti. "Il Quarto Dei Quattro Si Alzi." la Parola si era manifestata e al suono nato improvvisamente è subito seguita un'azione: uno dei quattro si muove, senza produrre rumore e senza infrangere il muro di oscurità che li avvolgeva. "MostraMi Ciò Che Hai Preso." e finalmente un po' di luce ruppe l'oscurità, rivelando due mani anziane che reggevano una tavoletta di legno delle dimensioni di un libro ma sottile. Sopra di essere era stato inciso un disegno: si trattava di un vecchio ricurvo che portava un lumicino davanti a se e si reggeva ad un lungo bastone. "Il Secondo Dei Quattro Si Alzi." e così avvenne: i suoi occhi fissavano la carta dell'Eremita che il suo pari aveva rivelato. La carta non era solitaria e melanconica come ci si poteva aspettare: l’antico Saturno si presenta qui come un anziano saggio, il Padre e Maestro interiore che conosce gli aspetti piú occulti. L'occulto, ciò che i Quattro manipolavano da anni, per alcuni di loro forse da secoli. "Rivela Ai Tuoi Pari Ciò Che Hai Preso." e una mano femminile, esile ed elegante, viene illuminata: tiene stretta un pugnale ricurvo, corto e dall'elsa intarsiati di simboli antichi. E' noto ai Quattro: è il Pugnale di Caino e il suo nome evoca esattamente la sua origine. La mano della donna trema e a stento la presa non si perde, lasciando cadere il pugnale. Ma non accade. Fortunatamente. "Il Primo Dei Quattro Si Alzi." e così fu "Rivela Ciò Che Sai." e alla Parola seguì la voce calda e suadente di un altro dei Quattro, una voce senza età e senza sesso, misteriosa. "La ruota lentamente gira, ma gli ingranaggi fanno fatica a muoversi. Spesso una piccola pagliuzza può rallentare anche il meccanismo perfetto." e mentre alcuni dei quattro riflettevano su questa frase, la Parola di nuovo si fece sentire. "Il Terzo Dei Quattro Agisca." e per la prima volta in quella stanza si percepì il suono di un movimento: una mano giovane e pallida afferò il pugnale e scomparì poi di nuovo alla vista...

Il viandante

Intorno a mezzanotte Zarathustra intraprese il suo cammino sul dorso dell'isola, per giungere sul far del mattino all'altra spiaggia: qui egli infatti voleva imbarcarsi. Vi era, proprio là, una rada favorevole, presso cui volentieri gettavano l'àncora anche navi forestiere; queste poi prendevano con sé chi volesse lasciare le isole Beate e attraversare il mare. Nel salire su per la montagna, Zarathustra pensava, cammin facendo, alle molte peregrinazioni solitarie fin dalla sua giovinezza, e alle montagne e ai dorsi e alle vette che già aveva salito. Io sono un viandante che sale su pei monti, diceva al suo cuore, io non amo le pianure e, a quanto sembra, non mi riesce di fermarmi a lungo. E, quali che siano i destini e le esperienze che io mi trovi a vivere, - vi sarà sempre in essi un peregrinare e un salire sui monti: infine non si vive se non se stessi. Sono passati i tempi in cui potevano capitarmi eventi casuali; e che cosa "potrebbe" ormai capitarmi, che non fosse già mio!. Ecco che torna indietro, ecco che finalmente torna a casa - il mio me stesso, e insieme tutto quanto per lungo tempo era stato in terra straniera e disperso tra tutte le cose e le casualità. E ancora una cosa io so: adesso mi trovo davanti alla mia ultima vetta, a ciò che più a lungo mi fu risparmiato. Ahimé, ahimé sono obbligato a salire su per il più duro dei sentieri! Ahimé, ho dato inizio alla più solitaria delle mie peregrinazioni! Ma chi é della mia specie, non sfugge a una tale ora: l'ora che gli dice: - Soltanto adesso ti incammini per il tuo sentiero della grandezza! Vetta e abisso - é ora saldato in unità! Tu vai per il tuo sentiero della grandezza: ora é diventato tuo estremo rifugio ciò che in passato si chiamò il tuo pericolo estremo! Tu vai per il tuo sentiero della grandezza: ora bisogna che il tuo coraggio migliore consista nel non esserci alle tue spalle più alcun altro sentiero! Tu vai per il tuo sentiero della grandezza; qui nessuno deve venirti dietro di nascosto! Il tuo piede stesso ha cancellato dietro di te il sentiero, sul quale sta scritto: impossibilità. E se ormai ti sono venute a mancare tutte le scale, bisogna che tu sappia salire sul tuo capo: come potresti altrimenti salire in alto? Sul tuo capo stesso e, via, al di sopra del tuo stesso cuore! Adesso la tua più tenera mitezza deve diventare la durezza più dura. Chi ha avuto sempre molti riguardi per sé, finisce per ammalarsi dei suoi molti riguardi. Sia lodato ciò che rende duri! Io non lodo la contrada dove burro e miele - scorrono! E' necessario imparare a "distogliere lo sguardo" da se stessi, per vedere molto: anche di questa durezza hanno bisogno tutti coloro che salgono le montagne. Ma colui che ha occhi indiscreti, come uomo della conoscenza, come potrebbe vedere qualcosa più dei motivi esteriori in tutte le cose! Tu però, Zarathustra, hai voluto vedere il fondo e il sotto fondo di tutte le cose: e già questo ti obbliga a salire al di sopra di te stesso - sempre più in alto, finché anche le tue stelle si trovino "al di sotto" di te! - Sì! Guardar giù verso me stesso e persino verso le mie stelle: solo questo può voler dire la mia "vetta" per me, questo mi é ancora rimasto come la mia "ultima" vetta! Così Zarathustra parlava a se stesso, mentre saliva, consolando il proprio cuore con dure sentenze: infatti il cuore gli sanguinava come non mai in passato. E quando fu giunto sulla cima del dorso montuoso, ecco davanti a lui allargarsi l'altro mare: egli ristette e tacque a lungo. Ma la notte era fredda a quell'altezza, e chiara e lucida di stelle. Conosco la mia sorte, disse infine con mestizia. Orsù! Io sono pronto. Or ora é cominciata l'ultima mia solitudine. Ah, il sole nero e mesto sopra di me! Ah, la gravida irrequietezza della notte! Ah, destino e mare! A voi ora devo discendere, "in basso"! Il monte dalla cima più alta e la più lunga delle mie peregrinazioni mi attendono: per questo debbo, prima ancora, discendere più in basso di quanto non sia mai disceso: - più a fondo nel dolore di quanto non sia mai disceso, fin dentro il suo flutto più nero! Così vuole il mio destino: orsù! Io sono pronto! Donde vengono le montagne più alte? chiedevo in passato. E allora imparai che esse vengono dal mare. Questa testimonianza sta scritta nelle loro rocce e nelle pareti delle loro cime. Dall'abisso più fondo, la vetta più alta deve giungere alla sua altezza. Così parlò Zarathustra sulla cima del monte, dov'era freddo; ma quando fu giunto in vicinanza del mare e alla fine si trovò solo in mezzo agli scogli, il cammino fatto l'aveva reso stanco e ancor più melanconico di prima. Tutto dorme ora, disse; anche il mare dorme. Ebbro di sonno e straniato, il suo occhio si posa su di me. Ma il suo respiro é caldo, lo sento. E sento anche che il mare sogna. E sognando si gira e rigira su cuscini scabri. Ascolta! Come sospira per ricordi cattivi! O per cattive attese? Ah, con te divido la mestizia, mostro tenebroso, e per tua colpa sono in collera con me stesso. Ah, perché la mia mano non ha forza abbastanza! Davvero ti libererei volentieri dai tuoi sogni cattivi! - E nel dire queste cose, Zarathustra prese a ridere di se stesso con amara melanconia: - Ma, come, Zarathustra! vuoi metterti anche a consolare il mare con il tuo canto? Ah, Zarathustra, folle ricco d'amore, ebbro di confidenza! Ma tu sei sempre stato così; sempre ti sei avvicinato con fiducia a tutte le cose paurose. Non c'é mostro che non ti sia venuta la voglia di accarezzare. Un soffio di caldo respiro, un po' di morbido vello sugli artigli -: e subito eri pronto ad amare e ad attirare a te. L'"amore" é il pericolo per il più solo tra gli uomini, l'amore verso qualsiasi cosa, "purché vivente"! La mia follia e la mia modestia in amore sono davvero risibili! Così parlò Zarathustra e rise una seconda volta: ma qui gli vennero in mente gli amici abbandonati -, e quasi avesse loro fatto torto coi suoi pensieri, si incollerì per questi suoi pensieri. E subito dopo accadde che colui che aveva riso si mettesse a piangere: - di collera e di nostalgia, piangeva amaramente Zarathustra.